È uno dei temi più dibattuti quando si parla di pedagogia e modelli educativi. Televisione sì, televisione no. E poi eventualmente da quando, quanta e in che misura sotto stretto controllo. Oggi poi dici “televisione” e stai già limitando il discorso, perché fin da piccolissimi i bambini imparano a maneggiare tablet e device assortiti che propongono lo stesso tipo di modello di intrattenimento e di comunicazione. Una cultura delle immagini – e parlando d’infanzia questo significa principalmente cartoni animati e loro declinazioni ludiche, ossia videogiochi con cartoons come protagonisti – che per forza di cose è diventata ormai pervasiva. Perché se una volta esistevano solo alcune trasmissioni dedicate ai bambini, in fasce orarie particolari, oggi nel mondo on demand è sempre tutto disponibile in qualsiasi momento. Senza contare la presenza in ogni casa di dvd, blue ray e supporti assortiti che rendono la possibilità di visione realmente h24. Mettici in più che, nelle giornate sincopate che vive la maggior parte di noi, è normale trovare “comodo” che un bambino se ne stia un po’ di tempo seduto sul divano davanti a un cartone animato.
In media si pensa che sia sufficiente conoscere i contenuti del programma, per poter “gestire” la situazione in modo proficuo per entrambi, adulti e bambini: i primi ne approfittano per dedicarsi ad altro, i secondi hanno sicuramente l’attenzione calamitata. Ma è davvero così? Il vantaggio è realmente reciproco? O ha ragione invece chi sostiene che i bambini davanti a uno schermo dovrebbero starci il meno possibile (i più integralisti dicono proprio per niente). Sia proprio per quell’effetto ipnotico e quella passività che davanti a un televisore sono rischi concreti. Sia perché, più generale, si tratta di uno strumento che non favorirebbe un sano strutturarsi della loro giovanissima personalità.